Dipendenza da sostanze
Caso clinico di cannabis e attacchi di panico
Ricevo nel mio studio Diego, un ragazzo di 25 anni. Diego è molto timido ed educato, mostra un imbarazzo visibile motivato dal fatto che mai aveva pensato di dover avere a che fare nella sua vita con uno psicoterapeuta e si trova in difficoltà nel doversi esporre

Nonostante si trovi in un evidente disagio, è molto motivato a volersi occupare di sé per ciò che gli è successo nell’ultimo periodo. Egli riferisce che gli ultimi mesi della sua vita lo hanno trasformato, Diego è spaventato e sofferente. Afferma di avere un disturbo d’ansia che si è slatentizzato sotto forma di attacchi di panico. Durante il suo primo episodio di panico sentiva il cuore battere all’impazzata, temeva di morire, la sua ansia lo ha portato ad urlare e chiedere aiuto a suo fratello minore che si trovava in casa con lui e che lo ha accompagnato al pronto soccorso.
Il consiglio del professionista
Quando un paziente arriva in studio riportando una sintomatologia precisa (ad esempio, come in questo caso, il panico), ho bisogno di indagare a fondo andando a ritrovare quegli indizi che mi dirigano alle cause scatenanti il disturbo. Ho necessità di capire lo stile di vita del paziente, se sono intervenuti o meno cambiamenti che hanno interferito significativamente con la sua routine, qual è l’atteggiamento mentale che la persona utilizza nell’approcciarsi alle proprie attività, se egli ritiene di condurre la vita che vorrebbe o se invece si trova in una situazione di conflitto, le sue aspettative, se le relazioni sociali sono soddisfacenti o meno. Il primo colloquio è un’importante fonte di informazioni “pure e grezze”. Utilizzo tali termini per indicare che durante il primo colloquio il paziente è ancora privo di interpretazioni circa il suo malessere e, nella maggior parte dei casi, non ha idea di cosa abbia scatenato il problema.
Egli è senza pregiudizio, quindi, porta al terapeuta tutte le informazioni a sua disposizione che non sono ancora state manipolate e interpretate come importanti o, al contrario, come non rilevanti circa le cause. È come osservare una scena pulita, senza tracce esterne che hanno danneggiato o modificato alcun particolare. Non solo. Anche lo psicologo effettua la sua osservazione del caso per la prima volta. Quando si osserva per la prima volta, si rimane colpiti da tutti gli stimoli che arrivano. Personalmente, annoto sia le informazioni verbali e le non verbali che ricevo, sia le mie prime impressioni affinché possa successivamente riprenderle ricordandomi di come mi si è presentato il paziente al primo incontro, con quale struttura di base e quali sensazioni mi ha trasmesso. Ciò è per dire che durante il primo incontro al terapeuta arrivano una serie di sfumature e di sensazioni fondamentali che permettono la conoscenza della persona che si ha di fronte e che dirigono, sin da subito, lo psicologo ad elaborare le prime interpretazioni del caso.
Lo stile di vita di Diego
Mi addentro nella conoscenza dello stile di vita di Diego e scopro che utilizza regolarmente cannabis e che il primo episodio di panico lo ha manifestato dopo aver fumato un’ennesima canna. Diego non ha realizzato che la marijuana può essere la responsabile del suo stato d’ansia e degli attacchi di panico poiché egli afferma di utilizzarla regolarmente da anni e di non aver mai avuto alcun problema in passato, tutt’altro. La marijuana gli permetteva di sentirsi rilassato e di avere pensieri “leggeri”. Il paziente riferisce che, successivamente all’episodio di panico, egli vive condizionato, in tensione e nel timore di essere nuovamente sopraffatto dalla forte ansia.
Certamente l’ansia di Diego deriva anche da un condizionamento vista la sintomatologia che ha vissuto, ma egli ignora la causa che ha dato sfogo all’attacco di panico. Nel 2009 è stata condotta una ricerca scientifica per valutare la correlazione tra cannabis e ansia/attacchi di panico. Si tratta, al momento, di uno tra i più grandi studi clinici che ha coinvolto ben quattro paesi. Quattro dipartimenti di Medicina (Pavia, Barcellona, San Paolo, Londra) hanno collaborato per valutare l’effetto della cannabis sul sistema nervoso centrale e neurotrasmettitoriale (ormonale). È stato riscontrato che il THC, principio attivo della cannabis, ha degli effetti a breve e a lungo termine sulla serotonina e sulla noradrenalina e quindi sulla regolazione dell’umore e degli stati emotivi. Gli effetti a lungo termine incidono favorendo la deflessione dell’umore, la propensione alla paranoia, la tendenza ad una personalità ansiosa, il pensiero ruminante ed incline alle interpretazioni negative. Gli effetti immediati, invece, riguardano la conclamazione dell’attacco di panico, dell’angoscia e della paura. Esiste anche una predisposizione genetica a tali disturbi psichici, ma è sottovalutata poiché ogni persona che fuma canne è convinta che tale propensione non riguardi loro stessi ma gli altri. Di fatto, l’uso delle sostanze va certamente a toccare il sistema nervoso e ormonale di chiunque, predisposto geneticamente all’ansia o meno.
Il primo periodo
Durante il primo periodo, in accordo con il paziente, per allentare le tensioni di Diego e per disintossicarlo gradatamente dalla cannabis, gli è stato somministrato un ansiolitico in un dosaggio blando che ha poi sospeso dopo pochi mesi. Contemporaneamente, ha iniziato un percorso di psicoterapia in cui ha potuto mettere a fuoco molteplici aspetti relativi alla sua personalità, molti dei quali avevano a che fa con la necessità di ricorrere alla sostanza stupefacente riconosciuta ormai da Diego come rinforzo necessario per riuscire ad allontanarsi dai suoi stati emotivi. Il lavoro svolto da Diego è stato impegnativo, ma eccellente. Egli è stato in grado di utilizzare al meglio una circostanza negativa per volgerla a suo favore raccogliendone, ne sono certa, i benefici per il seguito della sua vita.
Studi di risonanza magnetica dimostrano gli effetti sul cervello derivati dall’uso di cannabis che altera l’integrità micro strutturale in diverse zone della corteccia cerebrale. In modo particolare, il consumo di marijuana ha conseguenze dirette sulla corteccia prefrontale, definita “area del controllo” causando l’inevitabile compromissione della capacità decisionale e l’incremento di comportamenti impulsivi. Non solo sono state evidenziate alterazioni strutturali e variazioni del flusso ematico nel cervello, ma si è riscontrato anche un deterioramento dello spessore della corteccia temporale e deficit a livello della memoria e dell’apprendimento. Oltre al rischio di sviluppare disturbi psichiatrici quali ansia, depressione e psicosi, l’uso dalla cannabis va ad interferire significativamente con molteplici fondamentali capacità cognitive. Si rischia di andare a compromettere con le proprie mani il fantastico lavoro che Madre Natura dona alla nascita a ciascuno di noi.
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